Livio Vergerio, nato a Postumia nel 1927, residente a S. Maria (Quero - BL)

Nastro (file) 1986/15a+15b+16a – 11 giugno 1986

Trascrizione integrale in italiano. Lingua parlata: dialetto veneto, di Treviso (intervistatore); della Vallata bellunese – zona Marziai/Quero, intervallato talvolta da qualche parola o frase in italiano (intervistato). L’incontro col testimone è avvenuto a Santa Maria di Quero (BL), nella sua abitazione.  

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Il carbonaio Livio Vergerio, di S. Maria di Quero, BL, nato

nel 1927 in un bosco presso la cittadina slovena

di Postumia (all'epoca italiana),mentre la famiglia faceva carbone.


– Si è fermato là a Varese, suo figlio [32 anni, architetto]?
Sì, ben, naturale.

– Come naturale? Non sente nostalgia?

È sposato là … ormai è là, no! [...]

– Mi dica anzitutto di che classe è lei, e come si chiama.

Allora io, praticamente sono … anche figlio di chi? … veri carbonai… figlio di Vergerio Francesco, uno dei carbonai che ci sono a Marziai e che andavano in Jugoslavia.

 – E lei come si chiama?

 Livio Vergerio.

– Di che classe è?

'27: 13 dell'8 del '27.

– Diceva che già suo papà faceva il carbonaio. Anche suo nonno, per caso? 

Sì, anche mio nonno faceva il carbonaio.

– Anche il bisnonno.

Questo non lo so, ma fino a mio nonno posso garantire che faceva il carbonaio: mio nonno Domenico faceva il carbonaio.

– A lei viene più spontaneo parlare in italiano o in dialetto?

 Ah! Parlo anche in dialetto, io. Mio nonno faceva carbone anche lui.

– Quindi si risale al secolo scorso perché lei è del '27, suo papà sarà nato…

Mio padre era del '93… 

– E suo nonno sarà stato del '70. 

Fa conto […]

– Sempre fatto carbone. Lei mi diceva che è nato in…

01:44 Io sono nato a Postumia.

– Proprio… anche sulla carta d'identità?

Anche sulla carta d'identità, Postumia, ancora oggi: Postumia, Jugoslavia, perché sono nato là.

– Come mai?

Sono nato là perché mio papà e mia mamma, praticamente, in quel periodo d'estate facevano carbone, il 13 di agosto…

– Era in pieno agosto e sua mamma era al seguito di suo papà. Avevano anche altri figli?

 Avevo due sorelle e un fratello più anziano, più vecchi di me.

 – Eravate tutti tre là.

 Tutti, tutta la famiglia completa; si era là tutta la famiglia completa, noialtri. E là si faceva carbone, cominciando nel mese di marzo fino al mese di novembre.

– Finché arrivava la neve.

 Fin… quasi… non la neve, ma insomma.

– Forse là non arrivava neanche tanta neve…

 Eh no, ne veniva tanta di neve, sì. Perché noi abbiamo provato a star via, a non venir neanche a casa durante l'invernata. Siamo stati là nel bosco, lo stesso, in zona, perché si doveva terminare, e allora siamo rimasti là.

– In capanna.

In capanna, sul cason… sul cason de carbonièr.  

– Perché non siete venuti a casa? Siete stati tutto l'inverno là?

Non siamo venuti a casa perché … perché avevamo aperto un lavoro un pochino tanto [grande], non siamo stati capaci di finirlo, e in primavera, prima di cambiare bosco, d'accordo col padrone, ci toccava finire quello.

03:30 – Non si bagnava il carbone, non si rovinava?

Ah… ma non si faceva carbone, durante l'inverno, perché c'era la neve. Si stava fermi, fermi completamente.

– Allora, cosa siete stati a fare, là? 

Per essere pronti per la primavera. Appena si poteva mettersi in moto, subito si era pronti; se si fosse dovuto fare il viaggio [a casa] si sarebbe dovuti ritornare ancora là.

– Quando si vedeva che era pronto per rimettersi in moto?

Appena non c'è più neve, può mettersi. Anche con la neve può mettersi, può fare carbone lo stesso. Sì, sì, anche con poca neve, si può fare carbone lo stesso. 

– E perché d'inverno non lo si fa? 

Perché, praticamente, è già un lavoro duro da fare quando che il tempo è bello e dopo, a farlo d'inverno diventa il doppio più duro: si gela, una cosa e l'altra,  non si hanno le comodità dell'estate.

– Ma non perché sia impossibile fare il carbone.

No, no, il carbone si può farlo anche d'inverno.

– Volendo.

Volendo si può farlo anche d'inverno.

– Non è che si rovini, che si bagni?

Beh, sì, può anche bagnarsi, ma quando che la carbonaia è cotta… el pojat, dison, in dialeto, quando el pojat l'è cótt, quando che lo cava lé sut : quando lei lo cava, il carbone è asciutto. Ma dopo bisogna mantenerlo! Perché, se dopo, quando l'ha tirato fuori tutto, non ha i sacchi per insaccarlo e mandarlo via, perché i mezzi, i carri, i cavalli non lo portano via… allora, per forza che si bagna.

– E si rovina.

04:57 Il carbone lo perde, la fa bràsca...

– Cioè?

Fa un polverone, un polverone: si sbriciola, possiamo dire. […]

– E in quel caso, addio carbone.

In quel caso il carbone non vale quasi più niente.

– Perdeva il suo prezzo.

Perde, praticamente, di forza. 

– A questo punto, mi dica come venivate pagati, voi.

Noialtri si veniva pagati un tanto al quintale.

– Sempre carbone ottimo, però.

Sì, durante l'estate.

– Che fosse buono.

Buono, sempre carbone buono… Eh! magari se il carbone faceva bràsca, che qualche pojat andava male, anche i padroni lo costatavano, vedevano anche loro. Perché c'erano i magazzini a Trieste e, buttandolo fuori lo vedevano che non era proprio fatti bene… e qualche cosa, magari anche “rognavano”, e…

– Pagavano lo stesso?

 Certe volte pagavano lo stesso e certe volte magari scalavano qualche cosa. Ma a mio padre non è mai capitato queste cose qua…

– Era bravo.

Sì! Era bravo, come tanti altri, anche; perché ce ne sono di bravi veramente…

06:03 Perché quelli di Marziai sono tutti bravi, i carbonai… tuti bravi i carbonièr, dison.

– Si ricorda il padrone che dava lavoro a voi, a Postumia, soprattutto; chi era?

 Allora, aspetta. C'era Rupèna, Ribaríc, e dopo, a Senosecchia, […] Giuseppe Verdi, che sarebbe stato uno che ha cambiato il nome, praticamente. Era slavo ma ha cambiato nome e si è dato un nome italiano, e ha voluto farsi chiamare Giuseppe Verdi.

– Invece era?

Di Senosecchia, provincia di Trieste.

– I commercianti, dove lo portavano il carbone?

Tutto in città di Trieste andava consumato, tutto nella città di Trieste.

– Per le famiglie oppure…

Per le famiglie, per il riscaldamento, per tutto, per quello che faceva bisogno

– Dove veniva utilizzato, appunto? 

A Trieste, no!

– Sì, ho capito, a Trieste, ma su cosa, sulle stufe? 

Sulle stufe, ben, sulle stufe.

– Anche sull'industria?

Ammettiamo che forse una parte sarà andata anche sulle industrie.

– Che lei sappia…

Può darsi anche quello, però questo non posso… non lo so. So che andava utilizzato sui mercati, andava utilizzato per riscaldamento.

– Lei in che paesi della Slovenia andava, di Postumia solo, si ricorda?

Mi ricordo Postumia, mi ricordo Senosecchia, Divaccia, San Pietro del Carso, e… dopo siamo stati in provincia di Pola, a Olmeto  [Brest]; in provincia di Fiume: Montenero di Idria e basta, attualmente non ne ricordo altri.

07:54 – Quando era piccolo, dove andava a scuola?

 A scuola, noi, tutti i carbonai, si andava praticamente quando si veniva a casa. Si cominciava ad andare a scuola nel mese di … verso i primi di dicembre, oltre la metà di novembre, secondo quando si veniva a casa, e si andava fino ai primi di marzo, perché ai primi di marzo si andava via ancora. Si andava a scuola tre mesi, tre mesi e mezzo.

– Le maestre cosa dicevano?

Niente. Quali maestre? Che comandavano, erano i genitori, non le maestre! La legge era di andare a scuola, ma noi si era carbonai, e così si aveva il lavoro stagionale che era fuori. Si andava a scuola tre quattro mesi d'inverno, sì e anche no.

– Imparavate lo stesso? 

Quello che si poteva. Come gli altri, no senz'altro… quelli che andavano tutto l'anno, ma, insomma, ci siamo arrangiati anche noaltri. Quasi quasi abbiamo di più imparato fuori, dopo… il periodo dopo, girando un po' il mondo, che non quello che abbiamo imparato a scuola…

– Leggere e scrivere, è stato fatica per lei imparare o…

09:00 No, no… si imparava quello che si poteva. Non si poteva fare come gli altri, ma in quei pochi mesi che si andava si imparava anche noi qualcosa.

– Quell'inverno che siete stati fuori, dov'è andato a scuola?

Niente scuola, per nessuno.

– Era contento, allora!

Ah, contento. In quel momento lì, il ragazzo è contento e non è contento. Come si può dire? Non ha il sentimento di dire … se mi mandano a scuola vado, se non mi mandano…  è naturale che io ne faccia anche a meno.

Era faticoso, per voi bambini, stare nel bosco a far legna, a fare carbone? 

Faticoso come?

– Era brutto, vi trovavate male?

Se lei mi dice faticoso perché il lavoro era veramente pesante, questo sono d'accordo; faticoso come bambini, neanche un po', non c'importava niente. Niente. Ci si trovava alla domenica, qualche oretta, qualche ora al pomeriggio, chi poteva, si faceva la nostra giocata, insieme, così… su per le piante.

– Con altri carbonai?

 Con altri figli, altri coetanei, con altri amici. Si era in tante compagnie: certe volte si era in dieci e anche in quindici compagnie, tutti sulla medesima zona.

– E sapevate dove erano.

 Sì, sì, perché ognuno si tirava fuori il suo pezzo, la sua particella. Ogni carbonaio si prende la sua particella, a seconda della forza della famiglia che ha, per produrre il carbone…

– Durante tutto il resto del tempo, cosa facevate? [...]

10:37 Giocavate o lavoravate?

C'era solo da lavorare.

– Anche se avevate solo 7–8 anni?

 Anche, sì. Si cominciava appunto a quell'età lì, a lavorare. Quel poco che si poteva fare, anche a sette otto anni si doveva lavorare. 

– Cosa faceva? 

Portavo legne, portavo stràm. Legna sull'èra per fare el pojat e dopo el stràm per coprirlo; quel poco che si poteva sempre, secondo la forza che lei aveva. Portava sempre, contribuiva … in un certo senso contribuiva alla famiglia. 

– E andare a fragole, a roba del genere?

 Sì, sì. A fragole, si andava quando che i nostri genitori si riposavano un paio d'ore a mezzogiorno, che si fermavano dopo mangiato per riposarsi. Allora noi si prendeva un secchiello e si andava a fragole o a fràmbole, che sarebbero i lamponi. Frambole o lamponi: le portavamo a casa, e mia mamma ci metteva un pochettino di zucchero e si mangiava.

11:49 – Altre robe che cercavate nel bosco? 

Niente.

S-ciòsi, chiocciole? Ah, ben, sì, quelle c'erano e si andavano a trovare anche quelle. Le lumache, le si mangiavano anche quelle, ogni tanto. La mamma le metteva a posto e le cucinava bene e le mangiavamo con la polenta.

Come le cucinava?

In umido sempre, le faceva, o qualche volta arroste, anche, con dentro le uova.

– Con dentro?

Le uova di gallina, con dentro quelle.

– Sì?

Arrostite e dopo con le uova dentro.

– Come facevate? Si cucinavano le uova… mi spieghi questa ricetta.

 Arrosto! Fa bollire le lumache, le tira fuori, le pulisce, dopo mette l'olio sulla padella e mette dentro le lumache. Quando sono bene arrostite le lumache vi sbatte le uova di sopra. Tutto lì.

– Una frittata.

 Una specie di frittata; invece di essere, come si dice, di spinaci era fatta di s'cióss.

– Era buona?

Era buonissima, per noialtri, perché non è che ci fosse sempre.

13:03 – Cosa mangiavate, voi, normalmente?

Noi normalmente era sempre minestrone, o polenta e latte, o polenta e formaggio, e frico.

– Come sarebbe stato questo frico?

Sarebbe formaggio arrostito, sull’olio. Si taglia sottile, si mette sulla padella e si fa arrostire, così si mangia el frico.

– Era buono?

 Era buono. Anche con dentro le uova, era buonissimo anche quello. Si aveva il latte, si faceva andare il caffelatte alla mattina perché si avevano sempre le capre, le càore, noaltri.

– Ma ho sentito un'altra persona che diceva che le capre non le lasciavano portare…

No, no, non le portavamo mica da qua, col treno: le trovavamo là in affitto. O le si comprava là o le si trovava in affitto. Finita la stagione gliele si portava indietro e si dava al padrone delle capre quello che chiedeva.

– Latte di capra, allora.

Latte di capra, sì. 

– Ma non mangiavano, non facevano danno nel bosco, le capre?

No, ben, insomma… praticamente ne avevamo o una o due ogni famiglia, non è che si avesse un gregge, un branco di capre: o una o due ogni famiglia, non di più, dunque non facevano nessun danno.

– Le lasciavate libere nel bosco?

Sì, sì, libere. Si faceva su il cason anche per loro, riparate dalla piova, e ogni sera la mamma le mungeva, sera e mattina.

– Non faceva difficoltà, la forestale?

No, no. Ce lo permettevano, non c'era difficoltà.

14:36 – Anche le galline, avevate?

Anche le galline, sì: se si mangiavano le uova col frico, si avevano anche le galline!

– Quante? Voi che eravate in cinque di famiglia … quanti eravate?

 Sì, saremo stati in cinque, sì… poi siamo stati in sei perché è nata anche una sorella, dopo. Praticamente saranno state sulle sette, otto galline, cinque; non so io, più o meno.

– E facevate el cason anche a loro? 

Punèr de le pite, si chiama quello, non pollaio: puner, si chiama. Anche loro, sì.

– Come era fatto?

Era fatto come la baita.

– Faccia un disegno… lungo un metro, era?

Questa è la porta davanti… era lungo così e dentro qui metteva quattro asticelle, così…

– Quanto alte da terra le asticelle?

Trenta schei, trenta, trentacinque schei [centimetri], quaranta.

– Largo, quanto largo?

Largo, sarà stato, in basso, quaggiù, un metro e venti, un metro e cinquanta, anche, può mettere.

– Tanto largo, quanto lungo. 

Sì, più o meno, sì… la parte bassa [la base]. Comunque era fatto a triangolo.

15:49 – Le capre invece, che casone avevano? Come si chiamava quello? 

El cason de le càore: come il nostro, perché era fatto uguale al nostro.

– Come era fatto?

 Quello era fatto, praticamente, quadrato… così… ecco… [fa il disegno]… veniva su e in ultima [in alto] veniva fatto anche lui così, col colmo in mezzo. […]

– Questo è il tetto.

Questo è il tetto, fatto così anche lui. Prima veniva su quadrato e dopo quando era su, così… una forca davanti e una forca dietro col colmo in mezzo, dopo si mettevano su dei bachétt [travicelli], li chiamavamo noi, e dopo veniva coperto con la carta catramata. Come il nostro.

– E sopra la carta catramata cosa si metteva?

16:48 Foglia, stram, foglia di faggio, foja de faghèr […].

– Lo strame, di cosa era? 

Di faggio era, foglie di faggio.

– Strame, s'intende foglie.

Foglie, sì, foglie.

– Non erba.

No, no: foglie, non c'erano prati o altre porcherie.

– Quando lei diceva che da bambino portava stram, intendeva foglie?

Foglie, sì, foglie, in dialetto. Io parlo in dialetto il massimo possibile.

– Sì, bisogna.

Era stram, si metteva stram, e quello serviva per riparare se veniva la tempesta, perché altrimenti se veniva la tempesta bucava la carta catramata; per questo si faceva uno strato de diese schei, dieci centimetri, di queste foglie qua.

– E anche per isolare dal calore, dalla pioggia.

No, noi si guardava solo … era solo per la tempesta, più che altro, e poi anche, come dice lei,  anche per quello.

17:51 – Mi spieghi di questo casone. La forca, dove mettevate el forcon?

Per tenere qua… questa partiva da qua e in terra, da qua e in terra… col colmo così… e dopo tutti i cosi per traverso. [fa il disegno]

– Un forcon, di cosa era fatto? Sempre di faggio?

C'era solo fagher, là.

– Come facevate farlo?

Venivano su incrociati così.

– Ah, erano due pali.

Quattro lati praticamente, quattro lati aveva. Vedi le mie mani così? Lei metta altre due dalla parte di qua: veniva su così, no! Dopo ... mi segue? Una forca qua e una forca qua e si metteva il colmo alto così, in modo che dopo veniva giù, in questo modo qua! […]

– I sponài cosa sono?

I sponai de cason, quelli con cui fai su il cason, si chiamano sponai… veniva fatto su così, no.

– Sì, ma allora il trave, dove lo metteva?  // Eh?  […]

19:29 Una baita. Non ha visto mai una baita di quelle in montagna, qua, compagnia bella? Su alla birreria Pedavena? Uguale e tale, uguale e tale!

– Mettiamo il vostro casone ... quanto alto era?

Quello delle capre era di un metro e mezzo; per noi era fatto per una persona di due metri. Ed è alto perfettamente due metri. In mezzo sarà stato due metri e mezzo e dalle parti due metri.

– Con pali […]

Pali sempre incrociati così, perché vanno messi incrociati; ce ne vorranno cinquanta di pali per fare un casone.

– Sempre pali incrociati che si chiamavano…

Sponài incrosài. Qua fa il tapp a questo, e dopo qua fa il tàpp a questo e mette quell'altro; sempre così, finché arriva su a due metri così, e dopo la forca, come le ho detto prima, davanti e di dietro, e mette il colmo in mezzo. Poi mette tutti i bachétt che vengono giù così. […] Un rettangolo, praticamente. Un rettangolo di pali, de sponài.

– Ah, tanto ci vuole a capire!

 Un rettangolo, come un forte!

21:10 – Erano belli spessi, uno con l'altro? Non passava aria?

Passava aria, ma allora, dopo se stropéa col muscól.

– Col? 

Col muscól.

– Cos'è?

Quello che viene sopra i sassi.

– Muschio?

Muschio. Lo metteva in mezzo alle fessure e si chiudevano con quello.

– Sia fuori che dentro?

 Quando lo chiude da dentro, è apposto, no!

– E teneva?   

Sì… Si forzava molto forte [il muschio dentro le fessure]: lui si seccava e rimaneva lì. [...]

[Ritorniamo al “cason”, dopo l’ennesima domanda molto pazientemente sopportata dal testimone] 

22:01 Due forche.

– Dove le trovavate?

 Una pianta che l'é forsèla.

– Ah, ecco… questo!

 Una pianta a forma di forcella e trova la forca. Elementare!

– Due forche per un casone.

Sì, una davanti e una dietro, e basta. […]

– Ho capito, adesso, come facevate. E… niente camino. C'era il camino, nel cason?

C'era.

– E dove lo mettevate il camino? La signora [intervistata oggi, L. Vergerio] mi ha detto che loro non avevano il camino.

No, noi si faceva il camino, qui da una parte, perché sotto c'era el larín [il focolare], dove si faceva fogo. Dopo si metteva un [palo], di traverso così, e vi si attaccava la catena.

– Dove lo mettevate…

 Sopra el larin. Su un angolo si fa “il larino” quadrato e lì si fa il fuoco. Sopra, di traverso, si mette un palo di legno grosso così, e lì si attacca la catena.

– Attaccato dove, questo palo, mettevate?

 Non fa angolo, qua? Guarda qua, questo fa angolo quassù in cima. Questo è el larin, qui si attaccava la catena e veniva giù, coi ganci di ferro.

– Sotto il colmo, praticamente, questo palo.

 Sì, più o meno a filo del colmo.

23:17 – E il camino, dov'era?

Il camino era qua di sopra.

– E non veniva dentro acqua, con la piova?

Veniva coperto. Il camino bastava che fosse stato alto 50 cm. Si mettevano quattro listelli in piedi così, due di qua e due di là, una per così e una per così, e poi lo copriva, sempre con la carta catramata, e con il suo strame, anche quello.

– E se pioveva?

Se pioveva era riparato, a meno che non “straventesse” e non venisse il diluvio, eri riparato. […]

Era fatto come quello di una casa. Lo vede quello lì? Era fatto come quello lì. Col camino, col camino... sennò come fai senza camino, quando il tempo è brutto e piove, e ti ritiri, o quando si fa da mangiare: ci sono tutti dentro.

25:29 – Abbiamo visto cosa mangiavate. Dove facevate i rifornimenti?

Quando venivano a caricare il carbone si faceva un foglietto, se si aveva bisogno di tanta roba, sennò, al paese più prossimo si andava a farsi rifornimento noi una volta alla domenica o una volta ogni quindici giorni.

– Andava un uomo o una donna?

L'uomo. Di solito andava sempre mio padre, e io. Un figlio e il padre, o uno o l'altro dei figli.

 – Cosa prendevate?

Uno prendeva la farina, l'altro prendeva – il formaggio c'era già – e l'altro prendeva olio, sale, zucchero, tutto quello che serviva. 

– Il formaggio c'era.

26:10 Il formaggio l’avevamo portato da qua. E dopo, caso mai se non ci bastava, si mandava una lettera a Solagna Piero, qua del paese… Solagna Piero, da Pierét, e lui ci mandava la cassa di formaggio. Magari ci si metteva d'accordo in tre o quattro, due o tre compagnie: tre forme uno, tre forme l'altro, e spediva magari cinquanta chili di formaggio.

– Formaggio di mucca, non di capra.

No, no, tutto di vacca, di montagna, formaggio buono.

– Secco o tenero?

Formaggio buono; se era secco [stagionato] era meglio, sì abbastanza secco.

– Resisteva durante il viaggio?

Sì, perché dopo lo si metteva sulla cassa, noi, al fresco.

– Che cassa avevate?

Si aveva una cassa fatta nel bosco, di legna.

 – La facevate là anche quella.

Sì, la si faceva là, per non portarla da qua. Con quattro chiodi…

– Andavate via con poca roba, da qua.

Solo il vestiario e gli attrezzi da lavoro.

– E basta? Un po' di formaggio…

Un poco di formaggio, subito, sì.

– Vino?

Niente, mai vino.

– Niente vino?

No, niente.

27:19 – Cosa bevevate?

Acqua. Si faceva la cisterna noi.

Se si era vicino a qualche sorgente si andava a prenderla là, sennò, certe volte non c'era la sorgente, si faceva anche la cisterna per l'acqua piovana.

– E se non veniva giù acqua piovana?

No, ma ne veniva sempre di quella: quella prima o dopo arriva sempre.

Quella vi bastava?

Sì, sempre, perché se ne faceva una per il carbone e una, per il fabbisogno, più pulita, più netta, per noi.

27:52 – Perché, per il carbone, che acqua serviva?

Serviva l'acqua, sempre, di cisterna.

– Per fare cosa?

Perché quando viene fuori, il carbone è caldo e qualche pezzo di carbone è ancora acceso, no! E allora bisogna smorzarlo, sennò dà fuoco anche all'altro, bisogna spegnerlo.

– E non si bagna, così, non si rovina?

No, per spegnere quello col fuoco non si rovina mica. Se adesso io ho un pezzo di carbone di quattro cinque chili e ha un focherello, magari in cima, gli butto su un pochetta di acqua, non tanta.

– Quanto grosso veniva fuori il carbone?

Secondo la legna che metteva dentro.

28:30 Di solito cala il cinque per cento: con cinque quintali di legna puoi fare un quintale di carbone; e dopo, secondo la qualità di legna che metti dentro.

– La miglior legna, qual era? Carpino e rovero

Là era tutto faggio, comunque verrebbe fuori meglio di rovere e di carpine, verrebbe fuori migliore. 

– Però anche il faggio…

Sì, anche il faggio era abbastanza buono. Siccome là era faggio, di solito piante anche abbastanza grosse, perché non facesse tutta bràsca, bisognava spaccarle tutte: spaccarle, prima di metterle dentro nel pojat, spaccarle che prendessero un po' di sole. Paíe, gli dicevamo noi, asciutte: veniva fuori più bene, il carbone.

– Quindi non lo si faceva subito, il carbone.

29:13 Prima si tagliava la legna e si aspettava che si asciugasse.

Sì, e dopo, quando ha fatto il primo pojat, intanto che si faceva il carbone con quello, se ne faceva un altro, preparavi la legna per quell'altro, e via: era una ruota praticamente… ghe n'èra sempre el pojat che fuméa, o uno o due.

– Uno ardeva, e intanto ne preparavate un altro.

 Sì. Uno fumava, non è che arde el pojat. El pojat non arde mai! Perché se arde si brucia e viene fuori cenere. Allora: che fumava, uno... e magari quando quello arrivava a metà, se ne accendeva un altro. E prima che finisse questo, magari un altro ancora, secondo il lavoro. È tutto un lavoro a rotazione, finché hai finito tutta la tua parte di bosco.

– Alla notte, bisognava vigilare anche alla notte?

Alla notte, bisognava tenderghe anche alla notte, sì, almeno quando è in ultima e che sta facendo foghère, e anche prima quando è quasi a metà, bisogna sempre fare qualche giro perché può fare qualche buss [buco]. Se fa buss, la terra è asciutta e la va dentro. Andando dentro la terra, va giù in mezzo alla legna che ha accatastato per fare el pojat, e dove c'è terra il fuoco non va avanti più.

– Allora cosa bisognava fare ?

Bisognava andare a vedere se c'era qualche buss, prendere una zolla, un po' di stràm come le ho detto prima, di foglie: metterlo là e dopo con un poca di terra coprire il buco.

– Si apriva, allora?

No, no, niente aprire: dove c'era il buco che era considerato non normale, gli si mettono su un po' di foglie e dopo un po' di terra, di sopra. […] Si vedeva il buco, perché lo vede, uno che è il suo mestiere.

31:03 – Quanto grosso era il buco?

Dipende che buco trovava. Perché quelli che facciamo noi erano di circa 7–8 centimetri di diametro, quelli che facciamo noi per farlo fumare.

– Dove si trovavano i buchi che facevate voi?

Il coppo comincia in cima, la carbonaia, a venire in giù. La combustione comincia in cima e la carbonaia veniva giù. Mettiamo che questa sia una carbonaia [mostra una caraffa conica]: comincia qua [in alto], poi viene giù sempre pian pianino, sempre pian pianino, sempre attorno, sempre attorno, sempre attorno fino a che fa foghère, fin quaggiù in fondo. Ci volevano otto, dieci, dodici giorni, secondo la grandezza del pojat, se è grande o piccolino. 

Fin che fa foghere, cosa vuol dire?

Le foghère son le ultime, quelle che vengono giù in fondo, quelle che si fanno per farlo respirare, per farlo fumare meglio.

– Come facevate le foghere?

Si fanno i buchi più grossi, così… 

– Allora, inizialmente, fatte dei buchi, qua sotto.

Sì, si fanno in principio, per dargli più respiro.

– Quanti buchi?

 Ah, secondo la circonferenza che ha. Praticamente se un pojat ha – non so io, può avere quindici metri di circonferenza – gliene fai uno ogni metro, ogni metro e mezzo. […]

– Quanto grossi, questi buchi?

I buchi, quelli giù in fondo, le foghère, praticamente avranno quindici centimetri di diametro.

– Invece, come si chiama, il buco in mezzo, el castelót?

El castelót, sì…

– Quanto largo era?

Ma, quello sarà stato … 40 per 40.

– Bello grande! 

Quaranta, trentacinque-quaranta, secondo…

– Alto quanto era, el pojat?

Secondo come tagliavi la legna. Se uno aveva l'abitudine di tagliare un metro, era due metri, due metri e mezzo; se uno invece tagliava uno e venti, veniva anche tre metri, perché in ultima, quando si finiva, si doveva fare el téstín, in cima: sarebbe quello per coprire, per le legne… perché viene coperto tutto bene. Cioè, finito el pojat, gli si fa il suo testin di sopra

33:19 – Mi spieghi [ancora] la tecnica. Non stia arrabbiarsi, perché io non so assolutamente niente… I pezzi di legno li tagliavate da un metro circa?

 Sì, mettiamo un metro, insomma; noi si tagliava un metro e venti.

– Un metro e venti… li mettevate per sbiègo, così, appoggiati al castelot?

Sempre appoggiati al castelot. El castelot era così: […] ci sono i due pontoni (i pontói) in piedi, uno di qua e uno di là, due bastano.

– Era rettangolare?

Quadrato. 

– Solo due pontoni, mettevate?

Sì, due pontoni bastano. […]

– Allora, prima di tutto mettevate i due pontoni, uno qua e uno qua.

Sì, prima di tutto i due pontoni … col mèdho in mezzo, per avere il centro.

– Col “mezzo”?

In centro: un tocchetto di legno alto così, el medho, lo si chiamava, “il mezzo”.

– Per avere il centro...

Sennò come fa a mettere giù un pojat? L'èra, dove fa el pojat, deve avere un centro, per partire, perché viene rotondo, sennò non può mica venire rotondo, se non parte col mèdho in mezzo. Un punto di riferimento, ci vuole.

34:56 – Il “mezzo” sarebbe stato…

Questo qua: un pezzettino di legno alto trenta centimetri. Lo mette in mezzo

– Quanto grosso? 

Basta che sia grosso tre centimetri, un bachétt, tre centimetri di diametro, basta che lo si veda: quello era “il mezzo” dell'èra. Lei partiva da lì per far su el pojat. I due pontoni e dopo viene su el castelot…

– Ai due pontoni si appoggiavano i travi del castelot.

Sì, i bacchétt… non erano travi! erano grossi così…

– Non molto grossi.

No, no: sette otto centimetri di diametro.

– E quanto larghi? […]

Trenta centimetri, 30 – 35. Perché bisogna che sia perfetto, deve essere una cosa perfetta, non un subbuglio con uno lungo e uno corto: viene su perfetto, dritto […].

– E restavano in piedi, anche se erano rotondi, o dovevate squadrarli?

 No, no restavano, ci stavano lo stesso, perché, mano a mano, quando andavi su 50 cm, tu gli mettevi tre bacchettini in piedi attorno e te li teneva fermi. In mezzo li tenevano i pontói, e in parte tu mettevi questi bacchettini in piedi.

– E arrivati a un metro?

36:23 Dopo, quando andavi su, gli mettevi quelli da un metro e dopo, quando avevi fatto circa , non so… quando avevi fatto un metro di diametro, sotto…  cominciavi il castelot di sopra, e andavi su con quell'altro… uguale.

– Cioè, li appoggiavate così, sbièghi.

 Sì, in piedi, sempre in piedi. Va fatto il castelot e poi appoggiati i bacchett in piedi, in piedi, contro el castelot.

– In piedi ma un po' appoggiati.

Ma non tanto, no, appena appena. Sì, ben, è naturale che non deve tornare indietro, se torna indietro va in terra: devi dargli sì un pochino di piego, sopra, in modo che pieghi un pochino. Deve anche finirsi, in quel modo lì, non deve finirsi al cento per cento, deve finirsi al novanta per cento, quando è finito el pojat. […]

38:20 Prendo la legna qua, l'appoggio a un metro e venti, no? E l'appoggio a quell'altra, e dopo, compreso el testin di sopra, che si chiama el testin, el pojat, finito… arriverà a tre metri e mezzo.

[Descrizione di come fare el testin] …  

39:08 – Qua sì che vi toccava mettere una scaletta, per arrivarci.

Sì, per fare el testin, sì: se fèa el pónt  […] Fa il servizio della scala, sì, ma noi la chiamavamo el pont.

– Ed era appoggiata al pojat.

Sì, e si andava su e giù. […]

40:36 – Non si rovesciava el pojat? [Sic!]

Eh, dio, el pojat! Cento quintali che ci sono dentro, cinquecento quintali di legna messi insieme!

– 500 quintali di legna!

Eh sì, le ho detto che “butta cinque”, no? Per far un quintale di carbone, ci vuole cinque quintali di legna, minimo!

– Quanto largo era, quello per fare 500 quintali di legna, el pojat, quanto largo veniva, allora? Alto me l'ha detto che era circa tre metri e qualcosa,  e largo?

 Bisognerebbe che le misurassi i piedi.

– A chi?

A lei!

– Perché i miei e non i suoi, non è la stessa roba, i miei o i suoi?

 Noialtri a l'èra, quella rotonda dove si accatastava, la si misurava a piedi, così.

– Non avevate metri.

A piedi, così. Per fare un cento quintale di carbone, ci volevano dalle 28 alle 30 scarpe.

– Per fare 100 q.li di carbone, cioè 500 q.li di legna.

500 quintali di legna, 30 scarpe.

– Mettiamo che siano trenta centimetri.

Provi a fare il conto lei… quanti metri è di diametro.

– Nove metri.

Eh, saranno nove–dieci metri, sì.

41:50 E per sapere quanto carbone c’era, quando era finito, si misurava a bracciate, così. Sulle sedici e mezza, diciassette bracciate – secondo l'uomo, però –  perché bisogna vedere che uomo è, ma un uomo normale, dalle sedici alle diciassette…

– Lo misuravate quando era fatto…

Sì, quando era fatto, facevo così: una, due, e andavo tutt'attorno e loro più o meno calcolavano quanti quintali di carbone poteva fare.

– 16-18 bracciate, cosa veniva fuori?

 Adesso, a dirglielo preciso, non mi ricordo più, se è sulle 15 … non vorrei dire una sciocchezza.

[…] Non ricordo più bene, praticamente, quanto “davano”. Perché, vede, se ne facevano [pojat] da 60 quintali, se ne facevano da 80 quintali, se ne facevano da 100, se ne facevano anche da 140 quintali.

– 80 quintali […] tutto in base a scarpe e a bracciate.

Sì, noi si presumeva così. Quando l'èra aveva tante scarpe e dopo, quando era finito, che si era livellato bene, con le bracciate, così, misuravano in giro e sapevano più o meno quello che el pojat poteva dare. Non sbagliavano, o sbagliavano di poco.

Se andava bene; perché poteva andare anche male...

43:26 Certe volte una carbonaia può andare male,  mettiamo che venga troppa piova quando è oltre alla metà cottura ed è quasi giù in fondo, che è quasi finito, può andare anche male, se piove troppo. E allora magari viene pronto da levare, non si può levarlo; continua a piovere, e dentro magari può darsi che faccia … che si bruci anche, che si bruci veramente e viene fuori bruciato, eh sì.

– Ed è perso tutto, allora?

Non tutto completo, ma un po' potrebbe darsi che andasse anche male.

Certe volte si levava il carbone di notte, quando c'era chiaro di luna, il più delle volte, perché durante il giorno faceva molto caldo: il più delle volte lo si levava anche di notte.

44:20 Sempre piano a piano. Partire da una parte e andare sempre attorno, sempre attorno, sempre attorno, sempre attorno, tirando giù, tirando fuori fino a che si arrivava alla fine.

Non scoprire tutto ai lati, perché se lei lo scopre tutto essendo ancora caldo, s'incendia!

– Allora bisognava lasciargli la terra su…

Tirar fuori un pochettino, portar via e dopo coprire. Coprire dove levavano, un po', e dopo sempre attorno così, sempre attorno, sempre attorno.

– Con cosa coprivano, sempre con la terra?

Sì sempre con la sua terra che aveva su; era secca ormai, ma copriva sempre… e sempre attorno, sempre attorno. Si girava sempre finché si arrivava in mezzo, come sfogliare, praticamente, come si dice…

– Una mela, sbucciare una mela.

Come sbucciare un'arancia, partire da una parte, tirando sempre giù. Però, dove aveva finito di levare, bisognava coprire ancora, sennò prima che ritornasse, là s'incendiava… invece così, con la terra era sempre a posto. […]

– Quanto resta, di altezza, el pojat, alla fine, dopo otto giorni di combustione?

Eh, calava circa un metro, un metro e qualche cosa, calava giù. Dal centro, in mezzo, anche un metro e mezzo…

– [Restava] più alto di una persona.

Sì, più alto, molto più alto, quasi un metro più alto di una persona.

46:05 – E si iniziava, sempre come con un'arancia…

Sì, per tirarlo fuori, perché si andava attorno così, sempre attorno.

– In senso orario?

Ben, se lei è desto, muoveva la pala, comincia di qua, se lei è sinistro inizia dall'altra parte e gira e gira: non ha nessuna importanza, quello.

– Con che attrezzo?

Quello che tirava, che cavava, aveva el rampín e el badíl. Devo parlare in dialetto ancora?

– Sempre in dialetto!

 El badil e el rampin, il carbonaio che cavava. Quello invece che lo tirava fuori, da parte, quello aveva el restèlo e el sgòbel.

– El sgobel, cos'è? 

Una forca, quello che lo tira su…

– Una forca fatta come?

Una forca fatta di ferro.

– Quanti denti aveva?

Avrà avuto … non so io quanti denti abbia avuto, quattordici denti…

– Vicini, fra di loro.

Sì, così: tre quattro centimetri fra l'uno e l'altro.

– Quella ve la portavate via da casa.

Sì, gli attrezzi, tutti da casa. […]

47:24 – E invece, el rampin, come era fatto?

El rampin era fatto come el rampin, così.

– Di ferro?

 Di ferro, anche quello.

– Quanto largo era? Due centimetri, tre? Faccia il disegno.

El rampin, praticamente, veniva fatto così.

– Ho capito, e quaggiù c'era il manico.

Qua andava dentro il manico, di legno, lungo due metri, due metri e mezzo.

– Il manico di legno lo facevate là, non lo portavate via.

Sì, sì… no, no…

El rampin era rotondo, un poco rotondo?

Così [come lo vede nel disegno]. Veniva fatto con la nervatura in mezzo del badile, la nervatura vuole vederla?

– […] Quelli erano gli attrezzi.

Per cavar el carbon: rampin e badil, el sgobel e el restel.

– L'uomo tirava via col rampin e la femmina buttava giù.

48:52 L'uomo tirava fuori e tirava giù col rampin e noi figli tutti quanti insieme, e la donna, si tirava fuori col restelo, tirava e ammucchiava sempre, ammucchiava sempre. Come andava avanti lui, noi lo ammucchiavamo, sempre, fino a che veniva tutto rotondo, in giro.

– Non lo mettevate nei sacchi, direttamente.

No, no, era pericoloso, bisognava che si fosse raffreddato almeno un paio di giorni.

– E se pioveva?

Se pioveva si avevano i copertoni; i padroni ci davano dei copertoni per coprirlo.

– Come “dei copertoni”?

Teloni!

– Di cosa erano questi teloni? Come li chiamavate, in dialetto?

Noaltri se i ciaméa copertói… come quelli che hanno i camion, adesso: i teloni.

– Però non erano di plastica.

No. Erano fatti di quella fibra là che ce ne sono ancora anche adesso, in giro.

– Come si faceva a impermeabilizzarli?

Io non me lo ricordo… io non so come erano fatti o come non erano fatti, di che stoffa erano fatti o non erano fatti.

49:52 – Ho capito: dopo due tre giorni che si era raffreddato lo mettevate nei sacchi.

 Sì.

– E il padrone veniva a prenderselo?

No, il padrone: mandava il carrettiere. Il padrone viveva a Trieste, in cravatta, andava in giro dove voleva lui.

– Mandava il carrettiere, venivano con i carri?

 Con i cavalli, sì.

– Con i cavalli. C'era la stradina nel bosco.

Sì, c'erano stradelle, insomma, ecco… non strade vere e proprie.

– Per i muli?

No. Lì, da quella parte lì venivano con i carri. In Jugoslavia son venuti sempre con i carri per le strade forestali, trainati da cavalli, con timone.

– Due cavalli, allora, ci volevano.

 Due? Sì. Invece a Genova, che abbiamo fatto carbone anche là, siccome le montagne erano troppo pendenti, là venivano con i muli, “a soma”; là sì lo facevano a soma.

– Voi sempre la stessa tecnica, adoperavate.

Sì. Per noi non cambiava niente: il carbone è sempre carbone.

– Del legno, mi ha spiegato, el cason me l'ha spiegato

51:16 Per l'acqua si faceva come le ho detto. Si faceva la cisterna, un buco profondo un paio di metri.

– Cosa ci mettevate, cemento?

Un sacco di cemento, sì. Dopo aver lisciato bene, dentro – come fanno il nido i merli, i tordi – dopo gli si metteva uno strato di cemento.

– E dopo restava là, alla fine.

Eh beh, quella roba restava là, sì.

– Restava un buco, allora ci saranno ancora [queste cisterne], sui boschi?

Ah, ma dopo, piano piano, continuando ad andar dentro acqua e portar dentro terra, col tempo veniva chiuso.

– Era un cemento leggero.

Sì, sì: era un cemento appena appena.

– Ma c'era cemento anche allora? [Sic!]  

Sì, ce n'era di cemento…

– E una volta, quando ancora il cemento non c'era, con cosa la facevano?

 Ha non lo so. Una volta che non c'era, non c'ero neanch'io!

– Va bene, ho capito. Altre robe che riguardano appunto questo modo di fare il carbone…

Eh, il modo è quello!

– Cosa mangiavate, me l'ha spiegato; della scuola me l'ha detto.

52:19 Mi dica dei giri che avete fatto, dei vari posti in cui siete andati a fare carbone.

Dove mi ricordo io, dove è stato mio papà, noi siamo stati a Postumia provincia di Trieste, Senosecchia provincia di Trieste, San Pietro del Carso provincia di Trieste. Siamo stati un anno in provincia di Genova

– Come mai siete andati a Genova?

Eh, eravamo giù in Lombardia e a mio padre piaceva un anno ancora andar far carbone, ancora una volta, ed è andato là.

– Eravate già a Varese?

Sì, si era già a Varese.

– In che anno era?

Si era, prima della guerra: mio papà è andato giù prima della guerra a Varese.

– Come mai?

Ha voluto cambiare, andar giù di là, andar a vedere. Non gli piaceva troppo lo stabilimento ed è andato a far carbone là. Poi è andato via da Varese ed è venuto ancora su qua.

– Aveva fatto un esperimento, suo papà, di andar a lavorare in fabbrica.

 Sì. L'aveva fatto anche per noi figli, per vedere di sistemare anche noi figli a lavorare in fabbrica.

– Che fabbrica era, quella di suo papà?

53:22 Lavorava in una manifattura.

– Di cosa?

Una manifattura di stoffa, tessitura.

– Si ricorda il nome?

Majno.

– In che paese era?

Gallarate.

– E non si è trovato bene.

Non si trovava troppo bene lui, a star dentro chiuso lì.

– Quanto ha durato?

Ha durato dal ‘38 al ’42.

– Quattro anni.

Sì.

– Allora era durante la guerra che siete andati.

Siamo andati giù nel '38 e siamo venuti su nel '42. Quando siamo andati giù non eravamo in guerra quando siamo tornati su, purtroppo eravamo in guerra.

– E da Gallarate, siete andati direttamente a Genova.

Ma, non fissi. Un anno solo, una stagione sola per far carbone, una stagione sola. 54:06 Dopo siamo rientrati da là e siamo venuti qua a Santa Maria di Quero.

– Santa Maria, su per questa montagna di qua.

Qua, su questa casa qua.

– Si chiama Santa Maria, questo paese?

 Sì, questo paese si chiama Santa Maria, frazione di Quero.

– Dalla parte di qua del Piave è Quero e dalla parte di là è Vas. Qua a Santa Maria avete cominciato a fare carbone ancora?

No, dopo qui c'era la guerra, e durante la guerra abbiamo fatto un po' di legna e un po' di carbone...

– Cosa facevate?

 Legna. Legna, e mio padre ha fatto anche un po' di carbone.

54:41 – A chi lo vendevate?

 A Massier [Mazzier] Olivo.

– Con la zeta?

Massier con la esse, ma sarà con la zeta; comunque era lui solo qui, ad Alano.

– Era un commerciante.

Sì era un commerciante di boschi, lui. 

– A chi lo portava, questo carbone.

Lui? Non lo so. A chi lo vendeva lui non lo so. Lo portava giù per la Bassa, giù per Venezia.

– Anche la legna davate a lui?

 Sì, sì… perché l'aveva comperata tutta lui la legna qua in giro, quassù. Su in Pàdoa l'aveva comprata tutta lui, la legna: l'aveva “levata” lui. C'era il bosco comunale e l'ha “levato” tutto lui.

– Tutto lui, come mai?

Ah, non lo so. Sarà stato d'accordo con il comune.

– Non c'era un'asta?

Se ci sarà stata l'asta, si vede che l'ha vinta lui, perché il più grosso commerciante, qua sulla zona, era lui.

– Il bosco, come si chiamava, Pàdoa?

55:41 Pàdoa. Si dice “su in Pàdoa” perché c'è la malga, su in Pàdoa.

– Malga Pàdoa [Paoda] e bosco Pàdoa.

Il bosco… c'è la Val Granda, c'è questo, c'è quell'altro, comunque sempre gli dicono così, anche al giorno d'oggi che ce l'ha in mano la Forestale tutta quella zona lì, a quanto ho sentito dire, perché di preciso non lo so.

– Non è più comunale, adesso.

No, l'ha venduto alla forestale.

– Val Pàdoa.

Non Val Pàdoa: Pàdoa, deve dire! “Su in Pàdoa”.

– Là avete tagliato legna, a tutto spiano. Avete fatto piazza pulita, allora.

 Tutto, tagliato via tutto.

– Allora tutti gli alberi che si vedono adesso in Pàdoa…

 Adesso sono grossi così, non li taglia più nessuno.

– Dopo quarant'anni sono diventati …

 Ci sono i faggi grossi così, adesso.

– Però hanno quarant'anni, non di più …

 Eh, dunque, fa il conto, dal '43 – '44: quarantadue, quarantatre anni.

56:54 – Voi avete fatto giù tutto quel bosco Pàdoa là.

Tutto completo!

– Un poco alla volta.

No, no. Tutto, tutto su un'annata è andato giù! Perché si era circa in trenta persone lassù, a tagliar fassìne, a mandar giù legne con la teleferica… non la teleferica: il filo a sbalzo, la corda a sbalzo.

– Come la chiamate? 

Corda a sbalzo. Filo a sbalzo, si dice, in italiano.

– E voi in dialetto come li chiamavate?

Teleferica, noaltri ghe disón, ma la teleferica ha il portante e il traente: quella sarebbe la vera teleferica. Noi la si chiamava teleferica, ma non era la teleferica vera e propria, si chiamano “fili a sbalzo”. 

– Aveva un capo alto e uno giù qua, a Santa Maria.

 No, giù di qua non è venuto niente, tutto giù per il Càrpen, il paese più avanti, qua, el Bocalón. Là sul Bocalon, in cima correvano diversi fili che portavano alla [corda] centrale e da lì partivano […]

Càrpen, sarà per il nome degli alberi di carpino che c'erano.

No. Càrpen si chiama il paese.

– Sì, ma probabilmente questo nome deriva dai tanti carpini che c'erano.

Non lo so se Santa Maria si chiama Santa Maria perché Santa Maria abitava qua! Questo non lo so, no lo so. Non posso dirla questa cosa qua.

– Carpini comunque ce n'erano, su di là, e roveri.

Dove?

– Sul per il Pàdoa.

Su per il Pàdoa, praticamente, c'erano più faggi e piante di nocciola. Sì c'era qualcosa di rovero, ma poco.

– E tutto buono da vendere.

Tutto buono da vendere, sì, sì.

58:29 – Nessuno ha detto niente, che facevate piazza pulita, così, di un bosco?

E chi doveva dirtelo, in tempo di guerra? In tempo di guerra si faceva piazza pulita anche del Piave, a tirar fuori i pesci, non solamente che del bosco. Chi è che controllava? Le guardie forestali, dov'erano, a quel tempo là? Aveva visto una guardia forestale, lei, quella volta là? Io non ne ho mai vista una guardia forestale in quei tempi là! Naturalmente se c'era, stava a casa sua a dormire, e faceva bene. Perché, cosa doveva dire, cosa?

– Perché voi, o facevate così o morivate di fame.

Noi si tagliava via tutto quanto. Anche qui, queste qui, la maggior parte di queste piante qua erano state tagliate tutte, per vendere. Anche quelle dei privati, non solamente quelle comunali o quelle non comunali.

– Perché non c'erano soldi, c'era bisogno di soldi.

Eh? Noi si aveva bisogno di mangiare, non di soldi! Perché noi, la maggior parte… con Mazzier Olivo sì ci dava i soldi, ma quelle altre ["legne"] qui, che si facevano in giro si facevano per vendere, per portar giù per la Bassa, provincia di Treviso, là. Per tot quintali di legna loro ci davano qualche quintale di grano, o granoturco. Con quello, qui si poteva trovare qualche forma di formaggio e qualche chilo di burro. Però, quelli lì [quelli che ci vendeva il formaggio] volevano il grano.

– Chi andava a portare la legna nelle basse?

La legna venivano qui loro col carro a prenderla. Quelli che ci pagavano in soldi si prendeva i soldi, ma andavamo giù anche noi con la bicicletta, col portapacchi…

– Fino a Montebelluna?

Anche più in giù. Beh, quella zona lì, più o meno: Montebelluna, Caerano San Marco e dalla parte di là o dalla parte di qua si andava giù noi, a prendere il grano.

01:00:20 E dopo, quando si arrivava a Pederobba, si trovavano i fascisti che ce lo portavano via, i repubblichini [1]

– Perché?

Perché dicevano che si faceva mercato nero.

– E invece?

Non era vero, si faceva per mangiare noi.

– Non potevate andar di notte, di nascosto?

E se ti prendevano e ti tiravano un colpo di fucile? Ci mettevano poco, e non reclamavi mica, eh! Non c'era mica tanto da reclamare, perché facevano presto anche a impiccarti. Quella gente lì, in quel momento lì, non scherzavano mica.

– Ho capito: quelli della Bassa venivano a prendersi la legna. Erano commercianti o contadini?

C'erano anche contadini ma è naturale che venisse su qualche commerciante e dopo il commerciante la portava giù e la dava ai contadini.

– Con i cavalli o con le vacche? 

Cavallo. Cavallo e carretta.

– Loro non vi portavano su il grano.

Certe volte ce lo portavano su anche loro, se si combinavano: se mi porti su un quintale di così, ti do tanti quintali di legna, secondo l’accordo che si faceva…

01:01:27 – In poche parole [...] in che anni è che è stato buttato giù tutto?

In tutto il tempo di guerra. Noi siamo tornati nel '42, ma già in quel momento lì, la legna qui si faceva a tutta birra.

– Durante tutta la guerra.

Sì, sì, in tutto il tempo di guerra.

– Anche di là, nelle altre montagne hanno tagliato?

Dappertutto, hanno tagliato. Ogni paese ha tagliato tutto, dove doveva tagliare.

– Boschi comunali o non comunali, tutto!

Tutto!

– Tagliati tutti.

Tutti!

– Che lei sappia, anche dall'altra parte, a Marziai.

Ma, penso di sì che tagliassero giù dappertutto anche nell'altra parte. Là passavano ancora i camion carichi di legna.

– Ma c'era già la strada, di là?

C'era la strada, di là, strada comunale. 

– Sempre stata una strada, là?

Eh, sì.

– Quella che adesso hanno allargato.

Sì.

– Hanno detto che a Marziai non c'era una strada, una volta.

No, no, c'era la strada, che andava a Marzièi , passavano anche i camion che andavano a Marziei…   – E anche a Lentiai e a Busche?

Anche a Lentiai, anche a Busche: tutta la stessa strada che c'è adesso, altro che l'hanno rimodernata;  come qua: hanno fatto le gallerie. Vede che c'è ancora il posto là, dove la strada passava prima, in mezzo alla roccia. Se guarda di là vede che c'è la carreggiata.

– Una volta era più stretta, insomma.

Sì, beh, molto più stretta.

– Però, prima dell'altra guerra non mi sembra che ci fosse.

Di quale guerra? 

– Del ‘15–’18.

Con quella c'era, ma era mulattiera vera e propria, era sentiero. Non era strada. C'erano dei pezzi di strada, ma c'erano dei pezzi che non c'era ancora.

– Sul Piave, diceva dei pesci, come?

Normale, ci sono sempre stati i pesci, però durante la guerra ce n'erano tanti di più perché non andava a pescare nessuno. I tedeschi buttavano dentro le bombe a mano e i pesci venivano su. Adesso pesce ce n'è poco perché ci sono tanti pescatori.

01:03:21 – Ritorniamo al carbone. A quanto andava? Quanti soldi prendevate?

Lì bisogna vedere il periodo, io non mi ricordo cosa prendevano: non posso dire una cosa che non mi ricordo, perché il contratto lo faceva mio padre e non lo so cosa prendeva, se prendeva tre o quattro o cinque lire al quintale.

– Cosa compravate, con un quintale?

Non lo so, non mi ricordo. Nel periodo in cui andavo là avevo proprio sette otto anni, perciò non è che mi interessavo, che capivo. So che dove il bosco era più bello e facevi più carbone… magari ti davano due lire e mezzo; nell'altro che era un po' peggio te ne davano tre; nell'altro che era più ripido, in piedi, magari te ne davano cinque… era così, insomma. I contratti erano fatti così.

– E qua, a quanto veniva, grossomodo, un quintale di carbone?

Non mi ricordo più, in tempo di guerra, cosa poteva andare un quintale di carbone. 

– Siete diventati ricchi, facendo i carbonai!

No, no, no… penso non sia diventato signore nessuno. Quelli che hanno “tenuto da conto” avevano qualche mille lire in tasca; quelli invece che avevano la famiglia molto numerosa o gli andavano male le cose hanno avanzato molto poco. 

– Era un modo per vivere...

01:04:45 Era un modo come un operaio in fabbrica al giorno d'oggi.

– Solo che suo papà ha cercato di andare in fabbrica e non ha resistito.

Non era il suo ambiente, per lui.

– Mi diceva di queste “compagnie” che partivano da qua. Partivate una famiglia sola o insieme?

Si poteva partire anche in venti! 

Ma di solito, partivate assieme?

Dipende. Se si era sul medesimo punto si andava insieme, se invece uno andava a ovest, uno andava a nord, quell'altro andava a sud e quell'altro andava a est, ognuno partiva quando aveva piacere lui.

– Ma quando lei mi diceva che vi trovavate con delle “compagnie”, che andavate con delle compagnie.

Sì, sì partiva con delle compagnie dove c'era praticamente il padrone che assorbiva un sette otto dieci compagnie, si partiva magari tutti assieme.

– Compagnie, s'intende famiglie?

Sì, naturale.

– Capitava abbastanza spesso che ci fossero queste compagnie? Che vi trovaste assieme?

Sì, capitava diverse volte che si trovavano anche non proprio vicini, ma abbastanza vicini. 

– Voglio dire, far proprio la strada assieme, da Marziai.

Sì, partire da Marziai. 

– In tre, quattro famiglie assieme, vi capitava?

Sì, sì, come no?

01:06:00 – E … per finire la storia… finito di tagliare il bosco qua, durante la guerra, dove siete andati l'ultimo anno? L'avete fatto sul Grappa?

Adesso non mi ricordo più se è andato prima o dopo, sul Grappa, mio padre, lui e mio zio. Non lo ricordo perché io ero già andato via. Appena finita la guerra io ero già andato via.

– A Rieti?

A Rieti siamo andati giù nel '48.

– È andato anche lei a Rieti?

Sì.

– Come mai?

Eravamo giù, e siamo andati giù.

– Non aveva iniziato a lavorare in fabbrica?

No. Dopo ho cominciato, ho cominciato nel '49, in fabbrica.

– Fino al '48 cosa ha fatto?

Carbone, e legna. L'ultima volta sono andato lì, a Rieti.

– E prima di Rieti.

Prima di Rieti, in tempo di guerra qui, ho girato nel monte qui,  si faceva il carbone.

Nel '46 fino al '47 e siamo stati in Piemonte e abbiamo lavorato due anni lì.

– La terra?

No, no, legna, sempre legna con i fili a sbalzo.

– In che zona?

Provincia di Vercelli.

– Che paese?

Il paese praticamente vero e proprio sarebbe Pòstua, Crevacuore, in provincia di Vercelli. Il comune è Pòstua.

– Che montagne erano?

Montagne come queste qua.

– Sempre faggio, cosa c'era?

Sì, faggio e castagno.

– Là avete lavorato con la legna.

 Sì.

– Sempre come operai.

Sempre come operai, sotto imprese.

01:07:28 – Chi erano queste imprese?

Ce n'erano due o tre. Una era Vergerio Eustachio, quell'altra […] Vittorio, quell'altro era […] Leone…

– Erano del posto, qua, vostre!

Vergerio era un mio parente, sì ma loro erano andati giù qualche vent'anni prima; anche gli altri erano di là.

– E si erano ambientati.

Ambientati e avevano comprato un po' di bosco e dopo l'hanno “fatto fare”. Noi avevamo bisogno di lavorare, ci hanno invitato giù e siamo andati lì a lavorare.

– Erano ex paesani.

Sì, ex paesani.

– Erano diventati “sioréti”, ormai.

Sì, beh, insomma…

– Erano partiti come carbonai.

No, non facevano carbone, hanno sempre fatto legna.

– Erano partiti come operai.

Come operai.

– Ed erano diventati…

E dopo si erano presi un po' di boschi lì attorno, hanno fatto un boom che siamo andati giù quei due anni lì, e adesso sono là ancora, anche loro.

– Cosa fanno?

Niente, sono in pensione, penso, tutti. Chi non è morto è in pensione. Un po' sono morti, un po' sono in pensione. 

– Non si sono ingranditi ulteriormente.

Ah!

01:08:36 – Dopo siete andati a Rieti. Chi vi ha chiamato, a Rieti?

A Rieti siamo andati giù io e mio fratello. Abbiamo trovato lavoro là. Io ho trovato un buon bosco da far carbone e là abbiamo fatto un anno di carbone. Uno solo.

– Col papà, anche?

Con il papà, con mia mamma e con mio fratello.

– Siete stati voi a chiamare il papà o è stato il papà a chiamare voi?

Noi. Mio padre era qua e l'abbiamo chiamato giù.

– Come avete fatto a trovare quel posto?

L'abbiamo trovato tramite altra gente che era andata giù prima.

– Sempre del paese, qua?

No, del paese di Marziai.

– Questi di Marziai erano proprio specializzati nel carbone.

 Sì. Siamo andati giù, è arrivato lì un mezzo industriale, diciamo, aveva rilevato dal comune una partita di bosco abbastanza grande. Siamo andati lì e ci hanno fatto fare carbone. L'ultimo anno che abbiamo fatto carbone. Poi basta.

– Che era il… 

1948.

– Dopo è andato in fabbrica.

Sì. Nel ‘49 mi trovavo in fabbrica.

– Dopo mi racconta anche di quello. Intanto restiamo sempre a Marziai. Anche a Marziai hanno finito, nelle montagne qua attorno?

Non posso dirlo, perché dopo io sono stato sempre giù là [in fabbrica] e non posso sapere se hanno continuato a fare carbone ancora in giro. Mi sembra che a fare carbone, magari non hanno fatto tanto, ma come legna, in giro per la Carnia, più di là che di qua, perché là era dotato molto di più, penso che abbiano fatto ancora per diversi anni legna.

– Legna sì, ma col carbone si sono fermati

01:10:17 Col carbone, quando nel '48 – '49 e '50 sono usciti questi gas, Liquigas e compagnia bella, il carbone si è fermato quasi di colpo, quasi completamente.

– Il consumo principale era per le famiglie, allora, di questo carbone? 

Io penso di sì. Poi sarà stato anche industriale. 

– Quelli che lavoravano sulla legna, il loro mestiere sarebbe stato il boscaiolo… 

Sì, boscaiolo.

– E in dialetto, come?

Boscaiolo, noi lo chiamavamo boscaiolo. 

– Marziai, era un po' il porto del carbone…

No, non c'era solo Marziai che faceva carbone, c'erano molti carbonai anche da Solagna.

– Sì, ma delle zattere.

Eh ben, ma con le zattere va indietro di 200 anni, quando passavano le zattere di qua.

– No, all'inizio del secolo.

Dunque passavano le zattere di qua quando mia mamma era piccinina. Io non le ho mai viste passare.

– Ma fino al 1913–14, mi diceva la signora Solagna… 

Sì, può darsi, forse, che prima della guerra mondiale, può darsi che fossero passate.

– E caricavano tanto carbone.

Sì, carbone e legna, più che altro; portavano fino a Venezia il legname che veniva giù da “su per di qua”.

– E sempre col sistema dei boschi comunali che venivano dati all'asta.

Penso di sì, ma c'erano anche i privati! Perché, c'è il privato. Io, posso essere privato e posso avere un bosco più grande di quello che ha il comune, e io lo vendo a lotti; ogni anno magari ne vendo un pezzo, lo vendo, e buona notte. Vendo la legna, non il terreno, però.

01:12:05 – Beh, logico. E dal '49 ha cominciato a lavorare in fabbrica. Dove, in fabbrica?

In fonderia.

– In che paese? 

A Busto Arsizio.

– In che fonderia, come si chiamava?

Fonderia ghisa Tovaglieri.

– Com'era il lavoro?

La fonderia? Non ha immaginazione di come è in fonderia!

– Caldo, duro…

Caldo e molto duro. 

– Faticoso.

Faticoso.

– La salute ci rimette…

Si prende anche un po' di silicosi.

– Lei si è presa un po' di silicosi? 

Sì, qualche cosa c'ho anch'io, sì.

– In fonderia quanto ha lavorato?

Ho lavorato in fonderia circa 26–27 anni.

– Sempre a Busto?

No. A Busto, ho fatto dieci anni.

– Da Tovaglieri. 

Sì. Poi ho trovato il posto alla Franco Tosi, a Legnano, e allora sono andato là. Ho fatto ancora otto anni, e dopo, siccome mi hanno trovato sospetto di silicosi m'hanno cambiato reparto.

– E allora, è andato?

Reparto montaggi, sezione montaggi.

– Sempre alla Franco Tosi. 

Sì.   

– Ha fatto tutta la sua carriera alla Franco Tosi.

Venticinque anni alla Franco Tosi.

– Venticinque anni alla Franco Tosi, più dieci anni da Tovaglieri. Trentacinque anni di lavoro.

Senza quell'altro.

– Sì, di boscaiolo. Praticamente è in pensione, adesso.

Sì. [Dall'1.1.1985]

– Ultimamente, abitava a… 

Cassano Magnago, provincia di Varese.

– Come mai. Non è distante dalla Franco Tosi? 

Se sono andato ad abitare là, non potevo portare la Franco Tosi a Cassano; io, da Cassano, ho dovuto andare là! Prendevo il mio treno alla mattina.

– Quanto distante è Cassano?

Dunque, da Cassano saranno 14 chilometri.

– Comunque era “un bello stare” a Cassano Magnago?

 Sì, abbastanza: meglio di Legnano, senz'altro. Come posizione e come abitazione.

– Le hanno trovato un po' di silicosi, ma non grave. Quanto, di silicosi?

Mah, come m'han trovato loro… m'han trovato 24 per cento, 24 – 25%

– Però, mica poco, eh!

 

01:14:26 Fine nastro e intervista  [purtroppo interrotta bruscamente].


[1] Analoghi posti di blocco avvenivano durante la prima guerra da parte dei "tedeschi" occupanti le terre Oltre Piave, che fermavano le donne che risalivano dalle Basse dove erano andate in cerca di grano per sfamare le proprie famiglie. Cfr. Camillo Pavan, L'ultimo anno della prima guerra, pp. 13-14.

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