Gabriella Deon, Giuseppe Vergerio, Antonio Colle

Nastro (file) 1986/17b – 19 giugno 1986


Intervista a
Gabriella Deon [figlia di Giobbe, 1909, l'ultimo carbonaio a preparare un pojat al “mulinetto di Marziai”, agosto 1980] e a suo marito Giuseppe Vergerio. Alla conversazione partecipa anche Antonio Colle.

Trascrizione integrale in italiano. Lingua parlata: dialetto veneto, di Treviso (intervistatore); della Vallata bellunese – sinistra Piave  (intervistati).


DG = Deon Gabriella

VG = Vergerio Giuseppe

CA = Colle Antonio


ASCOLTA L'AUDIO INTEGRALE su YouTube https://youtu.be/qa9LXVw7wik

 

– Diceva che suo papà, se non faceva…

VG Voleva farlo. Aveva detto che prima di morire voleva fare un pojat, che l'avessero visto i bambini! I suoi nipoti, perché dopo ha detto che non lo fa più nessuno.



I nipoti di Giobbe Deon, davanti al pojat
costruito dal nonno. (Agosto 1980)

Allora io ho fatto la legna, sono sincero, ho portato la terra, preparato la roba, e dopo lui … Sì, perché ci vogliono “le legne”, ci vuole la foglia di faghèr [faggio], e dopo ci vuole la terra che sia apposta…

– Come terra apposta, che terra ci vuole? 

VG Terra senza sassi! Ho dovuto setacciarla tutta con la rete.

– Anche sul bosco, facevate così? La setacciavate? 

VG No, ma allora c'erano degli strati in cui non c'erano sassi… oppure dove – se lei guarda sulle strade di montagna – la terra corre giù tutta così: si prendeva quella e la si portava su con i sacchi.

CA Magari c'era una piazza, una èra, e dopo ce n'era un'altra. Si prendeva la terra qua e si portava a sacchi là sulla èra.

– Era una vita anche quella della terra! Ci voleva la sua terra particolare.

VG Senza sassi.

01:10 – Doveva avere anche altre caratteristiche? 

VG No, bastava che non avesse avuto sassi.

DG Però per farlo bisognava che fosse nel posto giusto, la èra.

VG Ben, anche la piazza dove facevano il carbone… non tutte lavoravano bene uguale. 

CA Dopo, dove si trovava la roccia, toccava fare un “ponte”. Si metteva il castelot, dopo si mettevano delle “piane” grosse, di traverso, tutte “fisse” [attaccate]. […]

– Dove c'era troppa pendenza vi toccava fare un “ponte”; di cosa?

CA Tutto di legname.

– E non si bruciava anche quello?

CA No, perché ci si metteva la terra, sopra.  […]

VG Io, su in montagna ho una casetta… Mio suocero [Giobbe Deon, nel 1980] ha fatto una croce di legno, appena che ha cominciato el pojat. L'ha messa per terra, poi ci ha messo sopra solo 'na s'ciànta [un po'] di terra, ma pochetta, e ha detto ai boce: «questa non si brucia, no», ha detto. Poi ha fatto el pojat, e quando ha finito di cavar fuori il carbone, che ha arso tutto, ha tirato fuori la croce, l'ha incartata e l'ha portata su in montagna.

– Con l'ultimo pojat, qua?

02:17 VG Sì, sì. Loro avevano l'abitudine, prima di cominciare el pojat: facevano la croce e la mettevano sotto.

– La croce sarebbe come segno cui girare tutt'attorno?

VG No, no, una crocetta così, chissà cosa…

Pavan, rivolto a Penacèt [Colle Antonio] – : «Anche voi facevate una croce?». 

CA No, no.

DG Ecco qua la croce, quella che ha fatto al mio bambino.

– Questa qua, è quella che è rimasta sotto?

VG No, no: questo qua l' ha fatto [per far vedere] come si inizia a fare un pojat.

– E chi l'ha fatto, questo qua?

DG Eh, mio papà, po! L'aveva fatto al mio bambino.

– Suo papà era un appassionato…

VG E dopo ha messo tutte le legne insieme, in giro.

CA Eccolo, questo era il piccolo castelot [un modellino] […]

03:20 Con un bacchetto di noseèr? [nocciolo], per andare imboccare il carbone? [??] […]

VG Per mettere il carbone nel sacco: uno lo teneva e l'altro lo buttava dentro con la pala… 

– E come fa a stare, lui, da solo?

VG Eh, sta, sta…

CA Facevano un pochi di buchi [sul pojat] qua di sopra, attorno. Venivano fuori più bassi, più bassi, finché era a posto.

Poi ne facevano tre quattro tutti attorno e lui finiva di [cuocere]

04:06 VG Sì, ma all'inizio … buttavano giù il fuoco da sopra, e dopo buttavano giù legna. Il fuoco veniva su per “il mezzo” [il centro, il castelot] del pojat… finché arrivava in cima. Dopo, quando il fuoco era arrivato in cima, lo chiudevano.

– E ci volevano due tre giorni, prima che arrivasse in cima?

VG Sì, e ci facevano i buchi.

CA Fino in giù… […] Il fuoco doveva cominciare in cima, a ardere.

VG Ad andare in giù.

– I primi due giorni, tre, cosa si bruciava?

VG Legna, gli si buttava dentro legna, quella piccola.

– Ho capito. Quello era “dargli da mangiare”.

VG Dargli da mangiare. 

– Come si chiamava quell'operazione là? 

VG I ghe déa da magnar al pojat : davano da mangiare al pojat.

– I primi due tre giorni gli si dava da mangiare.

VG Sì, giorno e notte (dí e nót).

– Con questo furigón, dentro?

VG No, no […]

– Con cosa si buttava dentro? 

VG Buttavano su la legna col sacco (i portéa su le légne col sàc). […] Legna, tocchetti così [i bòt]. Andavano su per la scala e li buttavano giù per il buco.

– E dentro stavano già ardendo. All'inizio invece avevano buttato? 

VG Il fuoco; all'inizio si butta il fuoco.

– E dopo, per due tre giorni, bisognava dargli da mangiare. Anche di notte.

CA Anche di notte.

– Quante volte di notte?

CA Due, tre… secondo.

05:12 – Da cosa vedevate che bisognava dargli da mangiare?

VG El calàva, no!

– Come “calava”? 

CA Calava da una parte. [...]

VG El pojat cala, quando ardeva dentro… faceva un buco […] 

– E buttavate dentro…

VG + CA Sì, sempre nel pojat, sempre per la bocca.

VG E dopo – quando “aveva ardesto” in mezzo, bene, e [il fuoco] arrivava su – allora lo tappavano. Una volta che era tappato, gli facevano i buchi…(…) gli andavano attorno,  in modo che il fuoco da sopra andasse in giù.

– Però i buchi basso c'erano sempre …  

VG No, no, in ultima…

– … Per due tre giorni gli si buttava dentro, e lui calava, proprio.

CA Faceva un calo, perché mancava dentro una parte. Allora lo scoprivi…

– Ma come faceva a spaccarsi?

CA Si bruciava la legna da una parte, allora lo riempivi ancora di legne, lunghe 50-60 cm

– Più piccole.

CA Più piccole, le si metteva e si faceva ancora il tondo. Poi si copriva, e magari dopo qualche altro giorno faceva un buco da un'altra parte…

06.29 VG Perché di solito lo faceva sempre sul levàl. La corrente d'aria faceva bruciare di più da una parte! 

– Come faceva a passare la corrente d'aria se c'era la terra?

VG Sì, ma ci sono i buchi, gli facevano i buchi! Andava fuori il fumo, entrava l'aria …

– I buchi, non glieli facevate dopo due tre giorni?

VG Sì, dopo due tre giorni. I primi due tre giorni non gli mettevano legne per attorno, lo lasciavano aperto … e quando vedevano che quassù mancavano legne ne buttavano giù in continuazione, come si fa con un gatto che miagola e gli si dà da mangiare.

– Si piegava in qualche parte…

VG Dopo, però, dopo, quando si erano fatti i buchi, si piegava […] quando lo avevano tappato sopra e facevano i buchi sotto allora in qualche punto magari o trovava legna migliore, che ardeva, o l'aria, o così… ardeva di più da quella parte e tendeva a piegarsi: là gli buttavano dentro ancora della legna. 

[…]

08:00 Gabriella Deon, mostra e commenta le foto scattate nell'80 in occasione della combustione dell'ultimo pojat dimostrativo fatto da suo padre Giobbe…

DG Mostra i pezzi di legno, i bòt, che servivano per “dargli da mangiare”. 

– Sempre così piccoli?

DG Sì.

– E si chiamano bòt.  

DG Eh sì, perché, vede… [mostra la foto di Giobbe Deon col ronchetto, mentre taglia i bot su un ceppo alto]… perché non gli facesse male la schiena. […]

– Anche una volta facevate così?

DG Sì, sempre. Sì, ha fatto nello stesso modo in cui lo facevamo noi, lui… non ha mica cambiato niente.

VG Uguale, uguale…

– Ne andavano giù a quintali di questi bòt qua?

VG Eh sì.  […]

DG Questo qua è alzato, pronto… [poi io commento una macchina da cucire comprata dal marito, per Gabriella, prima di sposarsi]

09:06 DG, sempre spiegando il contenuto delle foto della dimostrazione del 1980... Questo è l'attrezzo dove prende su il carbone.

– El sgòbel. Il manico è fatto da voi o comprato? 

DG No. È fatto! Eh, comprato… sì! 

CA In faggio. 

DG Anche questa scala qua l’ha fatta lui.

– La scala come si chiamava? Aveva un nome particolare? Vergerio quello che sta giù a Santa Maria mi pare lo chiamasse el pónt. Mai sentito? 

VG  Noi la si chiamava scala.

DG Questa scala qua era stata fatta per l'avvenimento e qua stava segando i bòt con il mio bambino. 

– Ah, ma allora usavate anche con la sega?

DG Col segón, sì.

VG Ah, noaltri sempre el segon

– In montagna, li tagliavate così, [col ronchét], o con la sega? 

DG Come si voleva. 

VG Con la manèra [accetta], più che sia; con la roncola o con la manèra. Perché si faceva fatica a tirar la sega …  [quella della foto] era piccola.

– Quando facevate i bot era questo sistema [sega] o questo[ronchet]?

VG Quello con la manèra, col ronchet.  […]  

– Questa [foto con la sega] l'ha fatta così… 

DG Perché Manolo lo potesse aiutare.

 CA Ma sennò si usava tutti el ronchét

DG Questo è il figlio di mio fratello.

[…]

10:40 VG Questo [pojat] ormai era già chiuso.

– Era già chiuso? E fumava così anche dopo chiuso? 

CA Perché resta un poco aperto.

– Un pochettino resta sempre aperto, non è mai chiuso proprio completamente… 

CA No, in cima è chiuso, ma dopo si comincia da in cima a fargli un po' di buchi, per il respiro.

– Gli ultimi buchi erano quelli in basso, io invece avevo capito che li facevano per primi, quelli in basso.

CA No, no, mai.

– Sempre dall'alto. 

CA Sempre dall'alto… (…)

– I buchi li facevate col manico del badile? 

CA + DG No, col furigón, con un bacchétt apposta.


I buchi servono per "fare entrare ossigeno nella carbonaia",
localmente chiamata 
scarazzu.
Siamo a Serra San Bruno (Vibo Valentia), una delle ultime località in Italia
in cui viene ancora prodotto il carbone di legna.
- Azienda "Vellone Carbone di Calabria" -
Fotogramma da YouTube https://youtu.be/DU3zUVSxIDg?t=100
video di Gigi Gej Radiofacebook

– Ed erano stretti, uno vicino all'altro.

CA Eh, trenta quaranta schei [cm], conforme…

– E andavate avanti… Di notte, chi è che ci stava dietro? 

VG A turno. 

– Anche i bambini?

CA No, no, a turno si faceva.

11:52 – Sotto i piedi, avevate gli scarponi?

VG Scarpe con i ferri…

– Sempre, tutto il giorno?

VG Sì.

–  Scarpe con i ferri. Sarebbero come scarponi, praticamente.

VG Scarponi, sì, altro che avevano i ferri.

– Apposta erano?

– DG Sì.

– Mai scalzi.

VG No, magari un paio de…(?)… ma sennò sempre scarpe. 

– E le brocche, chi è che le faceva? 

VG Il fabbro qua nostro.

– Come si chiamava?

VG Era uno con l'officina qua...

CA Lili, Bertuol.

– Lili Bertuol, ha l'officina. Non l'ho mica vista, dov'è?

DG In fondo al paese.

– Era esperto, specialista a far… come si chiamavano, queste sotto?  

CA + VG Fèr, ferri, ferri da scarpe.

– Anche queste sono recenti.

VG Sì, queste qua le ho fatte fare io, le dàlmede… 


Un paio di "dàlmede" (calzature di legno)
- fatte da Marino Filipetto [?] di Colderù -
per Giuseppe Vergerio di Marziai (BL).

12:59 – Adoperavate anche quelle, in bosco?

VG Sì, per il carbone e fuori, sul fango. Dal cason magari vai fuori al pojat.

– Erano con questa forma caratteristica qua.

DG+VG Sì.

– Chi le faceva? 

CA Queste qua… i più esperti erano da fuori da Cordelón [Cordellon]. 

– Che paese? 

VG Cordelò. Ma è un paese ormai andato…

– Non c'è più Cordelón? 

VG Il paese sì, ma la gente è tutta andata via.

– Non vi abita neanche più uno?

CA Ci sarà qualcuno… […]  

– Vicino a dov'è, Cordelón? 

CA A Lentiai.

VG Da Lentiai c'è la strada: una che va dentro a destra, che dopo viene fuori per Cordelón, ma è strada bruttina. Sennò bisogna che vada a Villa, e gira a sinistra.  

– Queste qua, le ha fatte fare a Cordelón, lei

VG Da uno di Cordelón, che sta a Lentiai. 

– Come si chiama?

VG Marino… 

CA … Filipetto [?].

VG Filipetto [?], sì: lavora alla San Marco, con te.

– Adesso fa l'operaio? 

VG Adesso fa l'operaio, lavora in fabbrica.

14:04 – La San Marco, che fabbrica è? 

CA Una fabbrica tessile.

VG Industria tessile San Marco. 

– Ha la sua età, circa?

CA Più giovane.

– E sa fare questo lavoro.

VG Sì… queste le ha fatte lui.

– E di vecchiotti, del paese, non ce n'è più neanche uno?

VG A Cordelón, là? Può darsi che ce ne siano ancora, ma…

– Andremo a vedere… Mi dica del nocciolo: dal nocciolo viene fuori meglio il carbone? 

VG + CA Sì.

Perché?

CA È più fino, perché il nocciolo è più piccolo, e poi era anche la temperatura, il fuoco viene più lento, insomma… […]

– Allora il migliore legno sarebbe…

CA Nocciolo, per fare come…  gli orefici o quella roba… saldature… […] Se c'è roba piccola sarebbe meglio il nocciolo.

15:05 – El solívo rende meglio, e dopo cosa c'era: solivo, posterno, come si dice?

CA Noi… solivo… dalla parte… , posterno… da questa parte.

– E meglio di tutto era il solivo.

CA Solivo. 

– Perché era più…  

CA Più asciutto, no!

– Era importante che fossero attaccati bene uno con l'altro? [i legni del pojat]

CA Sì. Più “fissi” sono, meglio è… 

– Perché?

CA Perché quando si cava, viene tutto vicino il carbone… invece se ce ne sono pochi, anche quando si brucia, fa peggio.

– Quindi era una bravura vostra…

CA Sì, erano “fissi” così: più fissi sono, meglio era.

– C'erano altri sottoprodotti, diciamo, del carbone. Altre robe oltre al carbone, non so…

VG Solo carbone. […]

16:20 Fine registrazione


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